Tre i cicli: The street behind the wall, Civil Rules (entrambi olio su tela) e Medea Syndrome (olio su lino).
L’artista con le sue opere ci offre scatti dall’inferno della città postmoderna, dove le aree gentrificate sono anch’esse attaccate, o meglio investite, da quell’atmosfera orwelliana che soffoca perfino negli spazi aperti. La serie The street behind the wall, che presenta tutte opere rigorosamente prive di titolo, sembra la rappresentazione su tela dell’universo così ben descritto nei romanzi di J. G. Ballard, in cui l’inconscio, che è spazio interno, ha ormai riversato il suo malessere sullo spazio esterno, che è quello sociale, comunitario, intaccandolo nel profondo.
Ecco, ad esempio, in una delle tele di questo ciclo, una rappresentazione profana, e per certi versi dissacrante, della crocifissione, dove tre ragazzi, azzerata la loro identità personale, grazie a felpe e sciarpe che vanno a dissimularne i volti, e messe da parte le proprie croci, visivamente presenti nell’immagine, allargano le braccia ergendosi a idoli sconfitti di una società sovvertita. Buona parte delle opere di questo ciclo ha come sfondo il wall del titolo. Relitto di un’età industriale in decadenza, la parete è l’unico connettivo tra le vite isolate rappresentate che, persa ogni prospettiva, si rivelano inette alla creazione di nuove ideologie e si arrendono a masticare quelle ormai saturate dalla storia.
Figure che sembrano indifferenti ai drammi altrui e che, talvolta, danno l’impressione di essere, in realtà, identità dislocate in differenti spazi, ma unite da un’inspiegabile compressione spaziale voluta dall’artista. Un desiderio di aggregazione che, purtoppo, sembra non scalfire le anime indurite di questi turisti della vita, egoisti e ciechi. È il caso di Earth Mother, dal ciclo Medea Syndrome, in cui due giovani musicisti, dalle sgargianti giacche rosse, continuano a suonare i propri strumenti, indifferenti alla vita ormai estinta che giace ai lori piedi. Anche per Medea Syndrome riscontriamo un filo conduttore conturbante: la morte, metaforicamente rappresentata da un teschio, in alcuni casi avvolta dalla caratterizzante tunica scarlatta, in altri dissimulata nelle vesti di un uomo.
Attraverso le sue opere Paolo Naldi, che è aperto tanto all’utilizzo di molteplici colori, quanto alle indubbie e affascinati possibilità della monocromia, offre l’opportunità di guardare la nostra società dall’esterno, punto d’osservazione privilegiato per comprenderla davvero.
Sara Giuseppina D’Ambrosio
Paolo Naldi, Strange Human Law, personale a cura di Massimo Sgroi, PAN | Palazzo delle Arti, Napoli, 2014
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