Critica: Paolo Naldi, “sul Limbo”, di Annibale Rainone

Square

Sul limbo.

Per raggiungere Paolo Naldi bisogna traversare brandelli di civiltà accordate dal filo di un orlo (limbo) in divenire. L’assenza di intervalli regolari, riconoscibili nella galleria del tragitto non è poi così scandalosa: croma e forma del mondo si muovono su diversi livelli, quasi che artificiale e predicazione profetica, metodo e movimenti inversi, fatali, non abbiano paura di raggiungere estremi disumani, disponibili o transitori; album di immagini che cercano differenti redenzioni, immagini che incidono sul significato generale dell’immagine del mondo e lo modificano.

L’ampiezza sociale funge da forza, da leva di una costellazione mobile dalla quale è possibile comprendere l’agire politico dei soggetti e delle collettività.

Ne consegue che il lemma di Naldi, mobilitato e utilizzato, risuona in difesa di un discorso che colloca in una posizione intermedia e non inquadrabile l’origine di un’immagine, l’evoluzione interna di una rotta. Che è anche una naturale lista del funzionamento pratico di ciò che è causa di indignazione, fosse pure il dio impersonale addetto alla manutenzione di un cosmo ordinato, privato e puro in fatto di meriti, sofferenze o risentimento.

Non vi è ira, difatti. Né, d’altronde, terra promessa. Né finalmente la sovrana mistica dell’indifferenza avvicenda un dentro e un fuori, un in e un out. E ciò perché, credo, il terreno con cui si confronta Naldi guarda all’irruzione di un evento horribile et concluso che alla bella famiglia di concetti e processi ‘a valanga’ preferisce la buona novella del capitale così come sarà: impaziente, chimicamente oscillante, innocente.

L’angusto buio delle figure è un capolavoro di complessità, il risultato di una trasformazione di materia grezza in idee.

L’immagine di un luogo inarrivabile e severo, la cupa sensazione di abbandono che fu classica – e cinematografica – e che ora prova nella bolla usurata da concrete abitudini (stare, coprirsi, toccare) il mutare delle condizioni materiali, il carisma della nuova frustra: sacrificio disinvolto e individuale di una certa politica che opacizza il mondo rendendolo inconsapevole della sua artificialità.

Vivere liberi; e di violenza. Un limbo ricavato dall’incastro spontaneo di utilità private. Nessun materiale, nessun costo etico ostacola l’azione di una fissità (alienata delle relazioni sociali). Nessuna giustificazione, nessun autentico dovere morale.

All’interno della neutralizzazione (in toni di grigio) di questa antropologia alienata accade il bagno freddo del realismo naldiano.

Il campo ristretto del visibile, certi sguardi nel confine, interrotti dalla presenza di un non-spazio o di piccoli spazi vuoti, porosi. I metodi del dominio che si serve della violenza, radice e prassi di un individualismo che perimetra relazioni (post-umane) solamente possibili.

 

Annibale Rainone

sul Limbo, 2019

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